LA BÛRSA DI ZUCARÉN – LA BORSA DEGLI ZUCCHERINI

Pochi ormai sanno cosa fosse “la borsa degli zuccherini” ed ancora meno sono coloro che la potrebbero riconoscere in questo oggetto ingiallito dal trascorrere del tempo. Eppure in passato non vi era futura sposina che non ne preparasse una per il giorno del matrimonio e, più era abile nel ricamo, più bella era la borsa.
Un tempo i confetti erano costosi e riservati alle persone abbienti, sull’Appennino bolognese, in occasione dei matrimoni, ma anche di Cresime e Prime comunioni, si preparavano gli zuccherini montanari che venivano posti in sacchetti di stoffa e distribuiti dalla neo sposa sul sagrato della chiesa ad amici e parenti che avevano assistito al matrimonio.
La bûrsa di zucarén fotografata qui accanto proviene dalla zona di Sasso Marconi, risale agli anni trenta ed ha contenuto gli:

ZUCCHERINI MONTANARI
DELLE VALLI DEL SETTA E DEL RENO

Ingredienti per circa 60 zuccherini:
10 uova
1 kg di farina
100 g di olio di semi di mais o arachide (in alternativa olio evo)
2 cucchiai di semi di anice
1 cucchiaino di sale fino
Per candire 500 g di zuccherini già cotti:
250 (300) gr di zucchero
1 bicchierino da caffè di acqua
1 bicchierino da caffè di Sassolino o di liquore all’anice

Esecuzione:
Amalgamare la farina, le uova e l’olio sino ad ottenere un composto omogeneo, aggiungere i semi di anice e continuare ad impastare sino ad avere un impasto leggermente più tenero della sfoglia.
Ricavare dei cilindretti di 2 – 3 cm di diametro e di lunghezza variabile tra i 10 e i 25 centimetri. Appiattirli ed unirli ripiegando poi all’indietro il bordo superiore così da ottenere una piccola ciambella di circa 4 -8 cm di diametro.
Si può anche unire il cilindro di pasta senza appiattirlo, poi tagliarlo tutt’attorno con le forbici. Cuocere a 200° – 220°,  per circa 15′-20′.

Incanditura:
In un largo recipiente, possibilmente di rame, porre lo zucchero, il liquore all’anice e l’acqua e far cuocere sino a quando il composto farà il filo o la schiuma bianca. A questo punto mettere gli zuccherini e scuotere il tegame sino a quando lo zucchero non si è tutto attaccato. ( Un tempo questa operazione toccava agli uomini di casa perché occorre una certa forza per far volare in alto gli zuccherini e farli ricadere nel tegame). Farli raffreddare ed asciugare su una griglia.
Se gli zuccherini sono molti conviene dividerli ed incandirli in più volte.

Il Certosino – Ricetta con Mostarda Bolognese

Per i veri Bolognesi un pranzo di Natale deve concludersi con il Certosino che non è un gatto, come molti credono, ma un dolce antico per cui erano celebri un tempo i monaci della Certosa di Bologna detti appunto Certosini.
Quest’anno, oltre al mio Certosino, ho voluto provare la ricetta depositata alla Camera di Commercio della città ideata alla metà dell’800 dal fornaio Bolognese Paolo Atti e messa a disposizione di chiunque voglia cimentarsi in questa preparazione non difficile, ma che richiede tempo e pazienza.
Il risultato ha soddisfatto solo in parte le mie aspettative: il dolce è ottimo, ma la presenza della mostarda, che io abitualmente non utilizzo, gli ha conferito un sapore e una consistenza più simile al Panone natalizio che a quello che per me, ma anche per i miei familiari è il Certosino.
Utilizzando un unica teglia come scritto nella ricetta, il peso totale dopo la cottura supera i 1500 g, quindi consiglio chi volesse provare a farlo di dividere l’impasto in due parti; inoltre i canditi non sono risultati sufficienti per ricoprire tutta la superficie.

certosino Atti foto

Ingredienti per 10/12 persone:
350 g di farina 00
300 g di miele di acacia
125 g di frutta candita mista intera (non bastano)
250 g di mostarda bolognese
200 g di mandorle pelate
50 g di pinoli sgusciati
50 g di cacao amaro in polvere
50 g di cioccolato fondente a pezzetti
1 g di cannella in polvere
15 g di lievito a base di cremor tartaro
1 cucchiaino raso di sale
100 ml di vino Albana dolce
15 g di burro
1 cucchiaio di zucchero

Esecuzione:
In un pentolino sciogliere il miele facendo attenzione perché, se inizia a bollire”cresce” ancor più del latte.
In una padella leggermente unta fare tostare le mandorle pelate e i pinoli con un cucchiaio di zucchero. Il procedimento serve a dare maggior sapore alla frutta secca ed a migliorarne la conservazione.
Setacciare e mescolare gli ingredienti in polvere (farina, cacao, cremor tartaro, sale).
In un recipiente capiente formare il classico cratere, unire la mostarda, il vino e il miele liquido e caldo; mescolare sino ad ottenere un impasto omogeneo, poi unire le mandorle e i pinoli, la metà della frutta candita dopo averla tagliata a cubetti, il cioccolato fondente a pezzetti.
Ungere con il burro e infarinare una tortiera di 24 cm (io ho usato la carta da forno), distribuire uniformemente l’impasto e lasciarlo riposare almeno 24 ore in luogo fresco.
Decorare con la frutta candita, porre in forno statico preriscaldato a 170° e cuocere per 40-50 minuti. Sfornare, lasciare raffreddare poi spennellare la superficie del certosino con una miscela di alchermes e miele, operazione che va ripetuta altre 2-3 volte a distanza di tempo. Si potrà mangiare dopo 15 giorni, ma migliora nel tempo e conviene prepararlo in novembre per gustarlo a Natale.

Salsa verde alla bolognese

Una salsa antica che ha sfidato i secoli rimanendo pressoché invariata e resistendo alle varie mode imperversanti in cucina.
A Bologna resta l’accompagnamento preferito per il bollito di carne, ma c’è chi la utilizza anche con il pesce.
Come tutte le preparazioni popolari la ricetta varia leggermente da famiglia a famiglia, ma gli ingredienti di base restano immutati.

salsa verde foto

Ingredienti per 6 persone:
1 mazzo di prezzemolo
1 uovo
1 cucchiaio di capperi sotto aceto
2 cetriolini sotto aceto (facoltativi)
4 filetti di acciuga sottolio
½ spicchio di aglio
la mollica di un panino fresco
latte q.b.
sale e pepe
200 g circa di olio evo
2 cucchiai di aceto di vino bianco
la punta di un cucchiaino di zucchero
La punta di un cucchiaino di concentrato di pomodoro

Esecuzione:
Rassodare l’uovo e lasciarlo raffreddare.
Bagnare la mollica di pane con il latte.
Lavare e asciugare il prezzemolo dopo aver staccato le foglioline dai gambi, poi, dopo aver inserito il coltello di acciaio metterlo nel mixer e tritarlo a velocità 3.
Aggiungere l’uovo, i capperi, i cetriolini a pezzetti, i filetti di acciuga, l’aglio, la mollica di pane ben strizzata, il concentrato di pomodoro, lo zucchero, il sale e il pepe.
Rimettere in funzione il mixer ed aggiungere attraverso il foro di alimentazione l’olio e l’aceto, miscelando bene il tutto prima di travasare la salsa in una salsiera.

Tortelloni della vigilia

A Bologna vengono così chiamati i tortelli col ripieno di ricotta perché sono per tradizione preparati la vigilia di Natale quando l’usanza vuole che si mangi “di magro”, ma, naturalmente sono ottimi anche gli altri giorni dell’anno.
Ogni famiglia bolognese ha la sua ricetta, questa è quella della mia mamma.
La quantità è per 4 o 5 persone (dipende dall’appetito dei commensali) e potrebbe rimanere un po’ di pasta, ma preferisco che resti questa piuttosto che del ripieno, più difficile da riciclare.
Io li condisco con burro e salvia e una grattugiata abbondante di Parmigiano, ma c’è chi li preferisce “burro e oro”, cioè un condimento preparato soffriggendo nel burro un trito di cipolla, carota e sedano a cui va aggiunta la passata di pomodoro e qualche foglia di salvia.

Ingredienti per 4 o 5 porzioni:
Per il ripieno:
400 g di ricotta di pecora o vaccina
20 g di prezzemolo tritato al momento
100 g di Parmigiano Reggiano
odore di noce moscata
1 cucchiaino scarso di sale fino
1 pizzico di pepe
1 uovo intero o solo il tuorlo (facoltativo)

Per la sfoglia:
400 g di farina
4 uova medie

Esecuzione:
In una terrina stemperare molto bene la ricotta, aggiungere gli altri ingredienti ed amalgamare il tutto sino ad ottenere un composto omogeneo e morbido.
Preparare una normale sfoglia lavorando energicamente la pasta poi lasciarla riposare per almeno 30 minuti.
Stenderla con il mattarello [io ho usato la sfogliatrice] e ritagliarla a quadri di 5-6 cm di lato. Riempire ogni quadretto con una pallottola di ripieno (il tortellone deve risultare bello panciuto); ripiegare i lati dei quadretti formando dei triangoli e, premendo bene i bordi con le dita, chiuderli come per i tortellini facendo combaciare gli angoli esterni e ripiegando leggermente quello centrale.
Lasciarli asciugare leggermente (non avendo gli appositi vassoi ho usato quelli dell’essiccatore come si può vedere dalla foto).
Cuocere i tortelloni in acqua bollente salata per 3-4 minuti, scolarli delicatamente per evitare che si rompano, condirli a piacere.

La sarâca – L’aringa

“La vôla da da ôv o da lât” “la vuole da uova (femmina) o da latte (maschio)” chiedeva immancabilmente il salumiere alla cliente che gli ordinava un’aringa e, ricevutane la risposta, con mano esperta sceglieva quella richiesta.
La domanda ha fatto nascere il detto bolognese: “Mé a sän da ôv e da lât” (Io sono da uova e da latte) per indicare chi è disponibile a qualsiasi soluzione.
Considerata un cibo povero e grossolano, difficilmente si trova citata nei ricettari classici, ne parla, però, l’Artusi, dandone una versione che definisce “ingentilita”.
L’aringa era il cibo dei contadini e, quando c’era, veniva appesa , legata per la coda, ad una trave in modo che pendesse sulla tavola. A turno i commensali vi sfregavano sopra la fetta di pane o di polenta nel tentativo di rubare al pesce un po’ di sapore. Il contatto era assai fugace, in quanto la “saracca”, così appesa, sfuggiva appena toccata.
A questo proposito, anni fa, in un paesino dell’Appennino Tosco-Emiliano mi fu raccontato un aneddoto. Un ragazzino affamato colpì con la stessa fetta per due volte consecutive il mobile bersaglio. “Vôt stiupèr” “Vuoi scoppiare” lo redarguì prontamente il nonno.
Quando finalmente l’aringa veniva slegata e divisa, poiché le famiglie erano molto numerose, i pezzi erano piccoli e fortunato era quello a cui toccava la testa, solitamente la porzione più grande.
Numerosi i modi di dire che fanno riferimento a questo cibo: “L è dura l’aränga”. (E’ dura l’aringa, suol dirsi per indicare che la vita è dura); “Grâs cme una sarâca” (Grasso come una aringa, cioè magrissimo) “Fèr con una sarâca in trΔ (Fare con una aringa in tre, mangiare poveramente).
Famoso a Bologna era Giuseppe Ragni (1867- 1919), venditore ambulante e cantastorie conosciuto come “ Quall dla sarâca” perché si presentava al mercato con in testa un cilindro su cui era appuntata un’aringa salata con in bocca una banconota da 100 lire a rappresentare la povertà di alcuni e la ricchezza di altri.
Mia madre la acquistava sempre femmina perché a mio padre ed a me piacevano le uova spalmate su un crostino di pane, poi, una volta a casa, la metteva a bagno per qualche ora nel latte per togliere una parte di sale nonostante le proteste di mio padre che l’avrebbe preferita sapida. A lui toccava poi il compito di arrostirla sulle braci all’aperto.
Io, per questa preparazione ho optato per i filetti già pronti in vendita in confezioni sotto vuoto così da non doverla cuocere.
Nelle mie intenzioni doveva essere un antipasto, ma, accompagnandola con un pezzo di crescente casalinga, ne ho mangiata a sufficienza per cenare.

aringa foto

Ingredienti per 4 persone:
400 g di filetti di aringa affumicata
4 cucchiai di olio evo
200 ml di vino bianco
2 cucchiaini di zucchero semolato
1 foglia di alloro
pepe
Per le cipolle caramellate:
2 cipolle rosse di Tropea
20 g di burro
3 cucchiaini di zucchero
2 cucchiai di aceto di vino bianco

Esecuzione:
Per prima cosa occorre marinare per almeno 60 minuti i filetti di aringa disponendoli in una ciotola insieme alla foglia di alloro a pezzetti, allo zucchero, al pepe e al vino.
Nel frattempo tagliare le cipolle a fettine sottili. In una padella antiaderente sciogliere il burro, aggiungere lo zucchero e, quando comincia ad imbrunire, versare le cipolle caramellandole; appena diventano traslucide e morbide sfumare con l’aceto.
Togliere i filetti di aringa dalla marinata, tagliarli a pezzetti, condirli con l’olio evo e lasciarli riposare una mezzora prima di servirli accompagnati dalle cipolle caramellate.

Le raviole di Alessandra Spisni

Anche quest’anno la festa di San Giuseppe è arrivata portando sulla nostra tavola le immancabili raviole.
Questa volta ho deciso di provare la ricetta data qualche anno fa alla Prova del cuoco da Alessandra Spisni seppur con una piccola variante: per guarnirle, oltre allo zucchero semolato ho utilizzato le codette colorate e l’alchermes. La pasta è molto buona, ma, una volta cotte, la superficie si è presentata leggermente ruvida e bucherellata.

raviole 1 foto

Ingredienti per la pasta frolla:
500 g di farina
200 g di zucchero
200 g di burro
10 g di lievito per dolci
scorza grattugiata di 1 limone
2 uova
1 pizzico di sale
Per la finitura:
300 g di mostarda
zucchero semolato da spolverizzare
poco latte per spennellare la superficie

Esecuzione:

Sul tagliere [io ho utilizzato la planetaria] fare una fontana con tutti gli ingredienti tranne le uova, mescolarli, compreso il burro che dovrà sbriciolarsi, poi rifare la fontana.
Aggiungere le uova lavorando la pasta il meno possibile per non farle perdere friabilità.
Stendere la pasta allo spessore di una moneta da 2€, poi tagliarla con un bicchiere [io l’apposito strumento per raviole] e formare dei dischi della dimensione desiderata (12 – 13 cm è il diametro ideale).
Farcire metà disco con la mostarda e chiudere a mezzaluna.
Disporre le raviole su una teglia ricoperta di carta da forno, pennellare la superficie con latte poi cospargerle di zucchero semolato [in alcune al posto dello zucchero ho messo le codette colorate, mentre le ho bagnate con l’alchermes appena tolte dal forno].
Cuocere in forno a 180° per circa 10 minuti; quando il bordino diventa rosato sono pronte.
Togliere le raviole dalla teglia solo quando sono fredde.

Tagliatelle dolci di Carnevale

In famiglia l’esperta di questi dolcetti era zia Amelia, la moglie del fratello maggiore di mio padre. Le sue tagliatelle dolci erano insuperabili: fritte ma non unte, croccanti al punto giusto, un po’ appiccicose per lo zucchero che, in cottura, caramellava.
Lei stessa ne era ghiotta e le preparava tutto l’anno, non solo per Carnevale.
Bastava una telefonata per avvertirla della visita e si era certi di trovarne un bel piatto ad attendere.
Sono sempre piaciute molto anche a me e, fattami dare dalla zia la ricetta, ogni anno le preparo anche se non tralascio le ben più famose sfrappole.
Facilissime da fare, derivano dalla tradizionale preparazione delle tagliatelle: bastava aggiungere un po’ di zucchero e di buccia di limone o arancia alla pasta all’uovo e un’autentica leccornia era pronta.
Con il passare del tempo la ricetta è andata arricchendosi di ingredienti a seconda della creatività delle varie “arzdåuri” (massaie) e di ciò che avevano a disposizione.
Purtroppo la tradizione di preparare le tagliatelle dolci va perdendosi, sempre meno sono i fornai che le mettono in vendita e, chi le vuole gustare, le deve preparare da sé.

tagliatelle dolci carnevale foto

Ingredienti per 6-8 persone:
500 g di farina 0
4 uova medie
30 g di brandy
succo di arancia q.b
un pizzico di sale.
scorza grattugiata di un limone
zucchero semolato q.b.
strutto per friggere
zucchero a velo

Esecuzione:
Inserire nella planetaria o nel mixer la farina preventivamente setacciata per arieggiarla, le uova, il brandy, la scorza grattugiata del limone (solo la parte gialla), il sale ed iniziare ad impastare. Lavorare a lungo aggiungendo succo di arancia quanto basta per ottenere una pasta da sfoglia morbida ed elastica.
Lasciare riposare l’impasto in frigorifero avvolto in pellicola per almeno 20 minuti prima di iniziare a stenderlo.
Sulla spianatoia con il mattarello, o con la macchina per la pasta, stendere una sfoglia come per preparare le tagliatelle tradizionali e lasciarla asciugare bene altrimenti lo zucchero semolato si inumidisce, le tagliatelle, nel tagliarle, si appiccicano e nel friggere non si aprono.
Cospargere le strisce con abbondante zucchero semolato lasciando un bordo di un paio di millimetri per evitare che troppo zucchero fuoriesca in cottura, arrotolarle e, con una coltellina molto affilata, tagliarle come per preparare le tagliatelle senza però aprire i rotolini.
Friggerle poche alla volta nello strutto bollente (180° circa) utilizzando un tegame alto e stretto; alcune si apriranno, altre rimarranno chiuse perché è questa la loro caratteristica. Lo zucchero tenderà a caramellarsi ed alcune assumeranno un colore bruno.
Scolarle e porle ad asciugare su carta assorbente.
Spolverizzarle con zucchero a velo e servirle fredde.

Guancia di bue brasata

Considerata un tempo un taglio di poco valore, il cosiddetto quinto quarto, in realtà la guancia di bue è molto gustosa ma richiede una preparazione elaborata.
A Bologna “la ganâsa”, la guancia di bue, è stata riscoperta di recente ed è diventata una ghiottoneria per coloro che apprezzano la carne dalla consistenza gelatinosa.
Proprio perché consistente, e non potrebbe essere altrimenti dal momento che le mascelle dei bovini sono sempre in movimento, richiede una lunga cottura. Uno dei modi migliori per prepararla è stufata con il vino rosso se si tratta di bovini adulti, bianco se è “ganassèn”, guancialino di vitello più delicato e che quindi richiede un vino più leggero.

guancia brasata foto

Ingredienti per 4 persone:
600 g di guancia di bue
1 fetta da 50 g di prosciutto crudo
3 cucchiai di olio evo
1 noce di burro
1 carota
1 cipolla piccola
1 foglia di alloro
2 bicchieri di vino rosso
sale e pepe

Esecuzione:
Lavare e tagliare a fette la cipolla e la carota.
Togliere il grasso in eccesso dalla guancia poi legarla con lo spago da cucina perché mantenga la forma durante la cottura.
Porre in una casseruola il cui fondo sia poco più grande della carne l’olio e il burro e,quando sono caldi, mettervi la guancia dopo averla infarinata leggermente.
Fare rosolare a fiamma sostenuta da tutti i lati, occorreranno circa 5 – 10 minuti, per sigillare la carne, poi toglierla dal tegame, scolare l’unto e, senza lavare, rimettervela insieme alle verdure, alla foglia di alloro e al prosciutto, salare, pepare e aggiungere due bicchieri di vino caldo.
Cuocere a fuoco basso e con il coperchio, rigirando la guancia di tanto in tanto, per circa 3 ore o sino a quando diventerà tenerissima.
All’occorrenza aggiungere altro vino caldo o un po’ di acqua calda.
A cottura ultimata togliere la carne dal tegame, tagliarla a fette e ricoprirla con il sugo dopo aver frullato le verdure.
Se il sugo risulta troppo liquido farlo addensare un po’ con farina e burro.

Zuppa bolognese

Simile alla classica e più nota Zuppa imperiale, si differenzia soprattutto per la presenza della mortadella. D’altra parte siamo a Bologna e la mortadella è uno dei nostri salumi tipici che utilizziamo spesso in cucina.
Ho preparato questa zuppa per il giorno di Santo Stefano, per stare un po’ “leggerini” dopo l’abbuffata natalizia ed anche per utilizzare il brodo rimasto dopo i tortellini del giorno precedente.

zuppa bolognese foto

Ingredienti per 10 – 12 persone:
10 uova
200 g di semola
200 g di Parmigiano Reggiano
100 g di mortadella
una presa di sale
una grattatina di noce moscata
50 g di burro fuso e freddo
un po’ di pepe di mulinello

Esecuzione:
Fondere il burro a bagnomaria e farlo raffreddare.
In una terrina sbattere le uova con una frusta per amalgamare bene tuorli ed albumi.
Aggiungere alle uova la semola, il Parmigiano e la mortadella tritata finemente, salare, pepare, grattugiare un po’ di noce moscata, tenere per ultimo il burro fuso e freddo.
Con una spatola di silicone miscelare bene il composto poi versarlo in una teglia da forno precedentemente unta di burro o rivestita di carta da forno cercando di pareggiarlo.
Deve risultare alto circa un centimetro; se fosse più alto non è un problema in quanto la pasta ottenuta dopo andrà tagliata a cubetti e nel cuocerla nel brodo non si noterà la differenza.
Cuocere in forno preriscaldato a 180° per circa 20 minuti.
Tolta la zuppa dal forno porla subito su una gratella e farla raffreddare completamente.
Tagliarla a dadini e cuocere nel brodo per circa 5 minuti.
In media ne servono 70 g a porzione.
Può essere preparata in anticipo e conservata in freezer sino al momento di buttarla nel brodo in ebollizione.

 

Castagnaccio, dolce o gioco?

L’uno e l’altro avrebbero risposto i nostri nonni e bisnonni.
“Fèr i castagnâzz”, “fare i castagnacci”, detto anche “scaldamani” era un gioco dei bambini dei tempi andati che serviva anche a scaldare le mani in inverno. I giocattoli erano oggetti per i ricchi, gli altri dovevano accontentarsi di quel poco che avevano e, durante la stagione invernale, era troppo freddo per divertirsi all’aperto.
Questo gioco consisteva nel disporre a vicenda le mani stese una sopra l’altra sulle ginocchia, si toglieva quella più in fondo alla pila e si posizionava sopra tutte le altre battendo forte per scherzo e producendo un leggero tepore.

castagnaccio ricco foto

CASTAGNACCIO RICCO

Ingredienti per una teglia da 30 cm:
400 g di farina di castagne
50 g di zucchero semolato
500 g circa di acqua
40 g di pinoli
10 noci
60 g di uvetta
30 g di liquore Sassolino
20 g di cacao amaro
1 cucchiaio di olio evo
1 cucchiaino di cannella in polvere
un rametto di rosmarino
un pizzico di sale
un po’ di olio evo per la superficie

Esecuzione:
Sciacquare velocemente l’uvetta sotto acqua corrente poi ammollarla nel Sassolino.
Schiacciare le noci cercando di non rompere i gherigli che vanno divisi in 4 e tenuti da parte per guarnire la superficie.
In una capiente terrina setacciare insieme la farina di castagne, la cannella e il cacao amaro, aggiungere lo zucchero e il pizzico di sale.
Versare l’acqua poco alla volta mescolando con una frusta o una spatola di silicone facendo attenzione che non si formino grumi. Il composto deve assumere una consistenza cremosa.
Aggiungere l’uvetta ammollata insieme al Sassolino, poi un cucchiaio di olio evo continuando a mescolare.
Rivestire una teglia di carta forno, versare il composto che deve avere uno spessore di 3 cm., guarnire la superficie con i pinoli e i gherigli di noce, irrorare con un filo di olio evo. Cospargere di aghetti di rosmarino ed infornare a 180° per 30 minuti.